Premiaty > MONDO JUNIOR Ottobre 2021

Le modalità emotive

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Una buona gestione delle proprie emozioni è fondamentale per vivere come adulti sani ed equilibrati. Questa, però, va costruita poco alla volta, con consapevolezza e impegno, imparando ad ascoltarsi nel corso della crescita

Quante volte può accadere di sentirsi “divisi”, di provare emozioni così contrastanti o formulare pensieri così differenti da avere la chiara sensazione di non essere più le stesse persone? A volte può capitare di provare così tante reazioni emotive da dubitare della nostra “unicità identitaria”, quasi si muovessero personalità differenti sotto la stessa pelle. Per quanto un’esperienza del genere possa provocare preoccupazione o ansia in chi la vive, essa è più quotidiana e normale di quanto si immagini.

Una delle teorie psicologiche più recenti, la cosiddetta Schema Therapy, è arrivata a dare un nome a queste esperienze, definendole “modalità emotive”.

L’ascolto del “bambino”

Nelle prime esperienze relazionali si impara non solo cosa aspettarsi dagli altri e da sé stessi, ma anche di cosa avere paura. È in questo modo che si sviluppa il timore del giudizio degli altri, dell’abbandono, delle inadeguatezze; vivendo in un ambiente sociale nel quale tali paure vengono rafforzate – e dunque rese “reali” – si sviluppa la credenza che tutta la vita sarà segnata e caratterizzata da esse, senza possibilità di cambiamento.

In questo modo quel “bambino” vulnerabile e impaurito rischia di rimanere dentro di noi per sempre; spesso non ascoltato, se non addirittura nascosto in qualche angolo della nostra mente. Non rimosso, semplicemente evitato, in una dinamica molto simile a quella che si mette in atto quando si fugge di fronte a situazioni o a persone che provocano ansia. Così si arriva a evitare tutto ciò che potrebbe riattivare le paure di quel bambino, nella convinzione che questo sia il modo migliore per “proteggerlo”, per aiutarlo a soffrire il meno possibile. E, dunque, se si sente inadeguato o teme di essere destinato a un futuro di abbandoni e di solitudine, tendiamo a costruire attorno a lui una vita di evitamenti e di distanze, in una modalità emotiva caratterizzata dal distacco falsamente “protettivo”.

A volte, tuttavia, quel bambino viene “ascoltato”, ma non accolto o, meglio, consolato. In queste situazioni le persone si arrendono a quelle stesse paure, come se non vi fosse alcuna differenza tra il mondo infantile e quello adulto. Scegliere compagni “abbandonici” o esperienze fallimentari sono esempi immediati di queste modalità emotive; arrendersi alla sofferenza, riproducendola in una folle coazione a ripetere, sembra la più logica delle soluzioni per metterla “sotto controllo”.

L’insidia delle aspettative

Ma vi è una situazione ancora più dolorosa e ancora più quotidiana. Quante volte accade di sentirsi in colpa per qualche errore commesso, e di provare rabbia verso sé stessi per l’inadeguatezza, gli insuccessi relazionali e lavorativi che segnano la nostra esistenza? Molto spesso le persone vivono in modalità emotive “esigenti” o “punitive”, che conducono a vivere perseguendo standard impossibili, punendosi al contempo per l’incapacità a sostanziarli. In questo modo, non solo non viene accolto quel bambino spaventato, ma si rendono le sue paure ancora più reali e terribili.

Ascoltare la parte vulnerabile di sé, dare a essa un nome e un’identità, una dignità esistenziale, è essenziale per farla sentire accolta e, dunque, non evitata o giudicata o, ancora peggio, punita. Riuscire a essere adulti funzionali ed equilibrati significa essenzialmente questo: ridimensionare le paure di quel bambino, consolarne il dolore riconoscendone i bisogni insoddisfatti, orientando le proprie scelte e le proprie esperienze nella loro direzione, unica vera strada verso la serenità.