Premiaty > MONDO DONNA Aprile 2021

Workaholism: quando il lavoro è un’ossessione

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Quando lo spazio del dovere ingloba ogni aspetto della vita di tutti i giorni, tanto da sentire continuamente il bisogno di lavorare, allora si è in una condizione di vera e propria dipendenza, non dissimile da altre più conosciute. Le dinamiche, non a caso, si somigliano, così come il bisogno di alienarsi da emozioni ritenute troppo difficili da affrontare.

Il termine workaholism (dipendenza dal lavoro) è stato introdotto da Wayne Oates nel 1971 unendo la parola work e la parola alcoholism per descrivere la dipendenza dall’attività lavorativa. Schaufeli, Taris e Bakker (2008) hanno definito il workaholism come “la tendenza a lavorare eccessivamente in modo compulsivo”. Per poter parlare di dipendenza dal lavoro è necessaria la compresenza in simultanea di comportamenti lavorativi tendenti all’eccesso e di una spinta interiore (compulsione) che guida l’individuo verso tali eccessi: è come se il soggetto non fosse più in grado di riconoscere i limiti rispetto al lavoro, che arriva a permeare tutte le dimensioni della quotidianità fino a diventare totalizzante, con conseguenze gravi sulle relazioni affettive e amicali, e anche sulla salute fisica della persona (che pur di non perdere un’ora di lavoro non si prende cura di sé, non va dal medico o non effettua esami anche necessari).

Le caratteristiche

Il workaholism viene associato in letteratura a una vera e propria dipendenza comportamentale, esattamente alla stregua delle altre, come quella da sostanze o da attività sessuali. Secondo Mark Griffiths sussistono sei criteri tipici delle altre forme di dipendenza:

  1. Salienza: il lavoro rappresenta l’attività più importante della vita di una persona, dominandone il pensiero e i comportamenti anche al di fuori dei luoghi e dei tempi del lavoro.
  2. Trasformazione dell’umore: il lavoro viene associato a stati di umore che possono variare dall’eccitazione alla tristezza, fino alla tranquillità.
  3. Tolleranza: il dipendente da lavoro si sente “costretto” ad aumentare progressivamente e gradualmente la quantità di tempo passato a svolgere attività lavorative (anche in assenza di richieste esterne in tale direzione).
  4. Astinenza: il dipendente da lavoro subisce negativamente, a livello fisico e psicologico (con irritabilità, cambi di umore) le situazioni in cui non gli è permesso di lavorare come vorrebbe (periodi di ferie, la malattia, etc…).
  5. Conflitti: emerge gradualmente una difficoltà nelle relazioni interpersonali (colleghi, familiari, amici).  La persona con dipendenza da lavoro può cominciare a essere criticata (e progressivamente isolata) dagli altri per la sua difficoltà a “staccare”.
  6. Ricaduta: dopo periodi in cui il lavoratore è riuscito a gestire la propria dipendenza dalle attività lavorative, ricade in comportamenti eccessivi.

Per riuscire ad affrontare questo disturbo è importante riuscire a comprendere quale “funzione” ricopra questo comportamento nella vita della persona. Vi possono essere due differenti significati. Da un lato esso potrebbe essere innescato da una forte componente doverizzante presente nel soggetto; dall’altro, invece, tale attività avrebbe una funzione evitante, fornendo all’individuo un alibi per distaccarsi da emozioni vissute come troppo dolorose per essere affrontate.

Nel primo caso la persona potrebbe essere cresciuta in un contesto educativo che poneva grande enfasi sulla prestazione e sul raggiungimento di obiettivi come elementi che definiscono il valore individuale; per questa ragione il soggetto si sente “costretto” a seguire delle regole molto rigide (le cosiddette “doverizzazioni”) per poter raggiungere obiettivi sempre più elevati, senza i quali sentirebbe di non valere abbastanza. Nel secondo caso, invece, la persona è terrorizzata dalle proprie fragilità, dalla sensazione di solitudine o di inadeguatezza che pervadono le sue giornate e trasforma il lavoro in uno “spazio protettivo” nel quale potersi distaccare da tali vissuti, veicolando l’attenzione altrove, spesso verso attività ripetitive che danno una sensazione di alienazione emotiva, anelata dal paziente.